domenica 26 agosto 2012

L’elogio della pazzia di Bregovic e Baldassar Castiglione


“Ché come si dice in Puglia circa gli atarantati, s’adoperano molti instrumenti di musica con vari suoni ... fin che quello umore che la infirmità ... sentendolo, subito si move e tanto agita l’inferno, che per qualla agitazione si riduce a sanità, così noi, quando abbiamo sentito qualche nascosta virtù di pazzia ... così ben l’abbiam agitato, che sempre s’è ridotto a perfezione di pubblica pazzia ... in ciascun di noi sia qualche seme di pazzia, il quale risvegliato possa multiplicarsi in infinito!”
Il Libro del Cortegiano, Baldassar Castiglione



In una terra in cui ogni evento (anche il più misero) viene trasformato in evento culturale, ne esiste uno che resta l’unico veramente apprezzabile e che riesce ad offrire una produzione unica. Per improbabili festival del rock, per residenze artistiche e musicali più simili a case vacanze, per convegni e seminari su filosofi, pittori e intellettuali locali che sarebbe meglio lasciare alla “dimenticanza” e all’oblio, per ogni sorta di sagra o manifestazione popolare in cui la tradizione viene costantemente violentata o tradita, c’è un evento, che pur con tutte le sue contraddizioni (lottizzazione politica e gestione clientelare), resta l’unico che riesce, da quindici anni, a coniugare tradizione e modernità, che riesce ad essere una vera contaminazione di generi popolari ed ogni anno offre un prodotto musicale che va oltre i ritmi, ormai nauseanti, della “pizzicarella” e oltre la dimensione puramente folcloristica. Mi riferisco, ovviamente, a La Notte della Taranta di Melpignano. Non è certamente l’unico ma - anche per evidenti potenzialità economiche – il più riuscito. Sia ben chiaro che a Zampanò non piace la pizzica e tutta la retorica che si è costruita su questa musica negli ultimi vent'anni, ma La Notte della Taranta riesce, in un certo senso, a far piacere anche la pizzica. Perché la oltrepassa. Il successo dell’evento di Melpigano, supera, tra l’altro, le capacità dei singoli maestri concertatori che si sono alternati in questi quindici anni. È certo, però, che l’edizione 2012 di Goran Bregovic  - forse la più bella e riuscita - è stata la più travolgente e coinvolgente. Tutto era già chiaro sin dal motto del Maestro Concertatore: “Chi non diventa pazzo non è normale”! Chissà se Goran Bregovic aveva in mente, anche, Baldassar Castiglione.


domenica 22 luglio 2012

IL RASOIO DI OCKHAM APPLICATO ALLE PROVINCE


«Non si devono moltiplicare gli enti oltre la necessità... La pluralità va ipotizzata solo quando è necessaria... Si fa inutilmente con molte cose ciò che si può fare con poche cose».
Guglielmo di Ockham

Il governo Monti, prendendo la decisione di eliminare le province superflue, si deve essere ispirato al famoso rasoio di Ockham: Entia non sunt multiplicanda. Il governo dei tecnici ha dimostrato di conoscere la lontana filosofia medievale e di saperla applicare alla realtà contemporanea.
La decisione di voler ridurre le province ha allarmato tanti amministratori. Per un vicepresidente della Provincia di Lecce che arriva a dire, addirittura, che a questo punto è meglio la Regione Salento, c’è un presidente della Provincia di Brindisi che su Facebook annuncia battaglia: “nessuno potrà chiedermi di accompagnare a morire la mia grande Provincia”. Stile “letterario” di simili affermazioni a parte, è evidente che, ancora una volta, prevale la voglia del particulare, perdendo di vista l’interesse generale del paese. Non pretendiamo, naturalmente, che gli amministratori conoscano Guglielmo di Ockham (per carità!), ma almeno che facciano prevalere il buon senso in un momento di crisi. Riduciamo gli enti inutili, a partire dalle province, e ricordiamoci sempre, come filosofia di vita (ed anche in politica): Si fa inutilmente con molte cose ciò che si può fare con poche cose! È un elementare criterio economico, sociale, politico e culturale. Seguiamolo!



giovedì 19 luglio 2012

CASO MINETTI: MORALISMO E IPOCRISIA


Gli Scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero nel mezzo, bene in vista, e gli dissero: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè ci ha ordinato nella legge che tali donne siano lapidate: Tu che ne pensi?
Parlarono così per tendergli un'insidia e aver poi un pretesto per accusarlo. Ma Gesù si chinò e col dito si mise a scrivere in terra. E poiché quelli insistevano, egli alzò il capo e rispose: Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei. Poi si chinò di nuovo e continuò a scrivere in terra.
Udite queste parole, se ne andarono tutti, uno dopo l’altro, cominciando dai più vecchi.
Rimasero soltanto Gesù e la donna che continuava a stare lì, in piedi. Allora Gesù, alzatosi, le chiese: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?
Rispose: Nessuno, Signore. Le disse Gesù: Neppure io ti condanno, va e non peccare più. 
Vangelo di Giovanni 8,3-11

Nicole Minetti pare si stata consigliata (si fa per dire) di dimettersi da consigliere regionale. Lo deve fare in quanto imputata, diversamente dal suo capo Silvio Berlusconi, anch’egli pluri-imputato. È una questione di opportunità, pare. E poi, a quanto dice il PDL lombardo, sembra che Nicole Minetti abbia capito, improvvisamente, che fare politica non è la sua strada. In realtà, Nicole Minetti è diventata il capro espiatorio di un partito. Alla fine sarà il Cavaliere ad essere vittima della sua igienista dentale.
Nicole Minetti ha prima attirato su di sé “l’ira funesta” di un intero paese, ma fu, inzialmente, difesa da un partito politico. Oggi è scaricata anche da quest’ultimo e diviene vittima dei farisei. Dopo essere stata utilizzata e sfruttata in quanto donna. Oggi viene umiliata in quanto donna non politicamente corretta, dai costumi poco consoni e contraria all’ “ordine costituito”. In questo momento serve un capro espiatorio, direbbe René Girard. Nicole Minetti è l’agnello sacrificale grazie al quale il capo ne dovrebbe uscire pulito. Ancora una volta la donna ed il suo corpo vengono usati per scopi politici. Peccato non ci sia stato nessun movimento femminile che ha solidarizzato con una donna che è stata doppiamente vittima del più becero maschilismo. Nicole Minetti, solo perché non intellettualmente elevata e non corrispondente al consolidato prototipo di donna da difendere, è stata già condannata come unica responsabile del malcostume in politica. La consigliera regionale sembra trovarsi nel ruolo di adultera davanti a Gesù: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra”. Oggi, però, un Gesù non c’è più. In questa società, si sa, “il cuore tenero non è una dote”.



lunedì 25 giugno 2012

Alla ricerca di nuove forme di rappresentanza politica

“Ecco perché, se si vuole continuare a immaginare la possibilità di un progetto politico, si finisce inevitabilmente per ragionare sui nuovi soggetti “come se” fossero classi, oppure si parla della necessità di “inventare” nuove forme di rappresentanza. [È necessario] verificare se la rivoluzione digitale abbia generato esperienze ed esperimenti che consentano d’intuire quali potrebbero essere queste nuove forme di rappresentanza; se esse abbiano una qualche somiglianza con precedenti esperienze di democrazia diretta; e in che modo il potere economico e politico stia reagendo a queste esperienze.”

Carlo Formenti, Cybersoviet. Utopie postdemocratiche e nuovi media
 
La rivoluzione digitale ha cambiato la politica ed il modo di fare politica. In Italia è in ascesa il Movimento5Stelle che nasce e si diffonde, prevalentemente, in rete ... anche se di democratico ha ben poco. In Europa si sta affermando un nuovo movimento: il Partito Pirata, che più e meglio di chiunque altro, utilizza le potenzialità della rete coinvolgendo i cittadini alla diretta partecipazione politica. Ma la questione è: la rivoluzione digitale ha modificato le forme di democrazia diretta? Ha creato nuove forme di rappresentanza? In un certo senso si, anche se siamo ancora lontani da un cambiamento radicale, da una rivoluzione. La risposta alla domanda si chiama LiquidFeedback, il sistema inventato dai pirati tedeschi per prendere decisioni coinvolgendo, veramente, la base. Si tratta di una nuova forma di rappresentanza e di democrazia diretta che ha spiazzato il potere politico ed economico tedesco. Ci arriveremo anche noi?

martedì 8 maggio 2012

Il centrosinistra leccese non c’è. Giovanni Lindo Ferretti sì.



 Il centro-sinistra a Lecce non esiste. “Ostacolata, lenta e zoppicante” la coalizione di centrosinistra semplicemente non c’è. Gli ultimi superstiti di un passato che non muore hanno regalato la più umiliante delle sconfitte: settari, incapaci di farsi interpreti delle esigenze della città, inadeguati a dialogare con i molteplici e vari corpi sociali di una città molto più complessa di quanto la si presenti.

 Dietro la facile e comoda giustificazione – Lecce è una città di destra – sembra proprio che non si voglia iniziare un processo di comprensione dei propri limiti, di analisi degli errori e di riflessione sull’inabilità a progettare il futuro. Si doveva intervenire prima, ma si è fatto finta di nulla. Oggi è inutile nascondersi dietro analisi politologiche sulla crisi dei partiti, sulle tasse del governo Monti, sulla rete di potere di Palazzo Carafa e su, presunti, ma mai dimostrati, acquisti di voti. Il centrosinistra a Lecce non esiste. E’ tempo di mettere da parte i reperti archeologici impersonati da una classe dirigente che usa un linguaggio vecchio e che non capisce la nuova composizione sociale, che non ha ancora compreso le potenzialità della rete e della democrazia partecipata e liquida: “vacui pensieri persi in cerca del passato”, dice Giovanni Lindo Ferretti.

Ora è tempo di futuro. Di innovazione. Di “sgobbare e onorare”. Tanto per cominciare, come cura propedeutica alla riflessione politica, consiglio di andare tutti ad ascoltare Giovanni Lindo Ferretti. Sarebbe già un buon inizio.

giovedì 12 aprile 2012

Tradizioni popolari e barbarie


Non si deve dare più ascolto alle persone che lamentano la fine delle tradizioni popolari (nei costumi, nella morale, nei concetti giuridici, nei dialetti, nelle forme di poesia e così via). Proprio a questo prezzo ci si innalza al soprannazionale, agli scopi generali dell’umanità, al sapere radicale, alla comprensione e al godimento di ciò che è passato e non è familiare. Insomma, proprio così si smette di essere barbari.
Friedrich W. Nietzsche, Frammenti


Viviamo in una dittatura delle tradizioni popolari: musica, beni culturali, dialetti, politica, poesia e costumi. Ovunque si cerca di riscoprire e rivalutare questa maledetta tradizione popolare.
Invece di innalzarsi al soprannazionale, di avere la mente rivolta al mondo, ci si lega al locale, al microcosmo in cui ci sentiamo a nostro agio ... ma solo perché siamo così piccoli da non reggere il confronto con gli scopi generali dell’umanità, con il sapere radicale.
La riscoperta del locale, come ogni elucubrazione intorno al proprio ombelico, è rassicurante e non mette in discussione il nostro personale sistema di valori, è comoda e facile. Ma ci condanna a rimanere dei puri e semplici barbari!

lunedì 2 aprile 2012

Vanini, Hölderlin


Dissero che offendevi Dio. Ti maledissero,
ti compressero il cuore, ti legarono,
ti diedero alle fiamme, te, il Santo.
Perché non sei ritornato dal cielo
avvolto nelle fiamme, per colpirli
i blasfemi, suscitare la tempesta
disperderne le ceneri di barbari
dalla tua terra e dalla tua patria!
Ma la santa Natura, che tu amasti
in vita, e che ti accolse nella morte,
perdona. E i tuoi nemici ritornarono
nella sua antica pace come te.
Friedrich Hölderlin, Vanini


Giulio Cesare Vanini è uno di quei filosofi il valore della vita (ma potremmo anche dire della morte) supera, per intensità e tragicità, la profondità del suo pensiero ed acquista un superiore valore filosofico. Un po’ come Ernst Jünger (intellettuale molto diverso da Vanini) è la sua vita a sovrastare la filosofia. Forse proprio per questo dispiace per la sua fine, atroce e crudele. Ma fa piacere sapere che a Tolosa si stata intitolata a Giulio Cesare Vanini l’Esplanada di Place du Salin, la piazza in cui il 9 febbraio 1619 fu eseguita la sua condanna a morte per offesa contro la divinità accusa per la quale, prima di bruciarlo, gli strappano anche la lingua. Nonostante ciò, morì, “allegramente”, da filosofo, almeno così si dice. Ma dopo la dedica a Tolosa, è come se Vanini fosse ritornato dal cielo, avvolto dalle fiamme, a disperdere le ceneri dei barbari, a colpire i “veri” blasfemi. Il poeta tedesco Hölderlin, che gli dedicò questa bellissima poesia, aveva già previsto tutto.


lunedì 26 marzo 2012

Prospettive post-elettorali: alla ricerca del Re d’Albania

“E così il party di Andrew Stein fu l’evento epocale, e non perché era lui alla moda, ma perché la lista degli ospiti e degli sponsor  era di prim’ordine... Andrew aveva accorciato il nome da Finkelstein in Stein ed era conosciuto, oltre che per i suoi party strabilianti, per la sua elezione al Parlamento...Girava voce che il padre aveva speso 500mila dollari per la campagna elettorale. Ma nessuno che s’intendesse di politica ci credeva, dato che sarebbe bastata metà di quella somma per comprare un numero di persone in Albania sufficiente a farlo proclamare Re ... Nessuno rifiutò l’invito. Dall’inizio del pomeriggio fu tutto un susseguirsi di quelle deliziose contraddizioni e incongruenze che rendono il Radical Chic così elettrizzante.”
Tom Wolfe, Radical Chic. Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto

È tempo di campagna elettorale. È quindi tempo di strabilianti feste e festini elettorali (o simil-tali). Non partecipare significa essere out perché è il momento in cui si decide la geografia del potere cittadino che verrà. La quantità dei manifesti 6x3 e del numero degli invitati definiscono la gerarchia del potere. Più manifesti, più persone coinvolte, più soldi spesi ... più prospettive. È il momento in cui il Radical Chic si trova maggiormente a suo agio: non si rifiuta nessun invito. L’atmosfera è elettrizzante. L’8 maggio sapremo quale investimento avrà garantito la gloria, quale party avrà avuto maggior effetto, quale sarà il Re d’Albania.

sabato 17 marzo 2012

L’amicizia da Cicerone a Facebook

“Sorge a questo punto una questione un po’ difficile: se mai si debbano anteporre amici nuovi, degni di amicizia, a vecchi. Non vi deve essere sazietà nell’amicizia, quanto più è vecchia un’amicizia, tanto più deve essere cara, come quei vini che sopportano l’invecchiamento. Le vecchie amicizie sono da mantenersi al loro posto: grandissima è infatti la forza di una consuetudine antica. Ma la cosa più importante nell’amicizia è il saperci sentire pari a uno che ci sia inferiore.”
Cicerone, L’amicizia

Facebook ha cambiato il concetto di amicizia. Più che amici sono contatti, con persone che molto spesso hanno nomi inventati lì per lì.
Sebbene ci sia un gioco (mai dichiarato) a chi ha più amici (o meno amici ... per i più elitari ed integralisti della privacy), l'amicizia su facebook, almeno in senso tradizionale, non esiste.
E fin qui nulla di nuovo o particolarmente originale. Se, poi, questa nuova forma di amicizia sia un bene o un male lo lasciamo decidere ai moralisti di professione, ai saggi che sanno esattamente dov’e il giusto e l’ingiusto.
Nel frattempo mi limito a ricordare come i social network abbiano realizzato quello che il buon Cicerone aveva già immaginato: nell’amicizia non esiste gerarchia. La vera amicizia è quella in cui si è pari ... e l’amiciza sui social network è riuscita proprio in questo.

mercoledì 22 febbraio 2012

Lecce, le elezioni e l’incombere dell’Anticittà

L’anticittà sono le migliaia di persone, giovani e anziani, tagliate fuori dalla vita culturale, dagli scambi economici, dalle relazioni istituzionali. L’Anticittà cresce parallela alla città ufficiale, come un corpo separato. ... Il nuovo ritmo urbano dell’Italia contemporanea sorge da una moltitudine di sussulti edilizi solitari; da una società dove le forme di coesione elementari – la famiglia, l’associazione, la catena di negozi, la piccola impresa – hanno acquisito negli ultimi trent’anni le risorse finanziarie e giuridiche per costruirsi la propria porzione di spazio, la propria “monade” urbana... Questo nuovo ritmo urbano, quello di una moltitudine di edifici solitari e ammassati, ha dispiegato tutta la sua potenza nelle aree di recente edificazione ... ma solo uno sguardo più attento miope non ne vede gli effetti anche nelle zone centrali delle nostre città...Viviamo in città vuote eppure ci ostiniamo a volerle più grandi, più estese nel territorio ... Le città devono smettere di crescere divorando terra agricola e natura e cominciare a occuparsi di se stesse, rigenerando e rioccupando quei deserti urbani che – pensiamoci bene – rappresentando la vera cifra della nostra follia politica.”
Stefano Boeri, L’Anticittà

E’ un dato ormai acquisito che la città di Lecce sia cresciuta molto negli ultimi due decenni dal punto di vista culturale, urbanistico e sociale. Questa crescita è ciò che lega con un filo rosso l’amministrazione di Stefano Salvemini a quella di Adriana Poli Bortone e Paolo Perrone. Con Salvemini si è affermata un’idea nuova e moderna di città, che è stata, successivamente, sviluppata dalle amministrazioni successive. Ora, al di là delle singole convinzioni politiche personali, Lecce è certamente migliorata, ma è anche vero che negli ultimi anni c’è stato una vero e proprio boom di costruzioni di edifici, complessi abitativi e centri commerciali che hanno letteralmente divorato terra agricola e natura, per dirla con le parole di Stefano Boeri. Il rischio che corre la città di Lecce è che anche da noi si affermi l’anticittà, ovvero che si continui a costruire per puri interessi di speculazione finanziaria e che non si pensi a recuperare e bonificare le tante zone abbandonate e di degrado della città. Visto che siamo in campagna elettorale ci auspichiamo che i tanti candidati (così come quelli che annunceranno la propria candidature nelle prossime settimane) dedichino qualche minuto del loro tempo a riflettere sulle proposte di Boeri per evitare che l’anticittà abbia il sopravvento sulla città.

martedì 14 febbraio 2012

Non per profitto

“Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi di proporzioni inedite e di portata globale. Non mi riferisco alla crisi economica mondiale che è iniziata nel 2008...ma a una crisi che passa inosservata, che lavora in silenzio, come un cancro: la crisi mondiale dell’istruzione. I paesi di tutto il mondo ben presto produrranno generazioni di docili macchine anziché cittadini a pieno titolo, in grado di pensare per sé, criticare la tradizione e comprendere il significato delle sofferenze e delle esigenze delle altre persone. Il futuro delle democrazie di tutto il mondo è appeso a un filo. Gli studi umanistici e artistici vengono ridimensionati, nell’istruzione primaria e secondaria come in quella universitaria, praticamente in ogni paese del mondo. Visti dai politici come fronzoli superflui, in un’epoca in cui le nazioni devono tagliare tutto ciò che pare non serva a restare competitivi sul mercato globale, essi stanno rapidamente sparendo dai programmi di studio, così come dalle teste e dai cuori di genitori e allievi.”
Martha Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica

Si torna a parlare di cultura umanistica ... o meglio: della sua crisi. Siamo passati dal governo del Cavaliere e dell’“ambizioso” progetto delle tre I (Inglese, Innovazione e Imprese) a quello dei tecnocrati. Ma il valore ed il riconoscimento per la cultura umanistica è rimasto, a essere ottimisti, basso.

A dire il vero ci sono stati anche un paio di intermezzi prodiani, ma non ricordiamo particolare attivismo in difesa delle materie umanistiche. Eppure si tratta di un’emergenza che implica non solo la qualità della formazione delle generazioni future, ma dell’intera società e, come ricorda Martha Nussbaum, della democrazia stessa. Altro che voglia generalizzata di primarie e modifiche alla legge elettorale più comunemente nota con l’asburgica denominazione di porcellum, l’emergenza democratica è un’altra.
Se non si interviene per invertire il costante processo di affossamento della cultura umanistica la società del futuro sarà costituita più da automi che da cittadini attivi e partecipi.

Non siamo ancora arrivati a Patmos, luogo biblico dell’Apocalisse, ma si può ancora recuperare il tempo perduto a patto, però, di essere disposti a eliminare il profitto come unica regola del mercato globale.

giovedì 9 febbraio 2012

Lavoro precario: fantasia e creatività


“Renato e Rinaldo erano due laureati in lettere. Uguale era la stella che avevano seguito, profondo il precipizio che li divideva: Renato era professore di ruolo in una scuola media della più grande penisola del Mediterraneo; Rino invece era disoccupato, perché aveva passato troppo tempo a occuparsi di cose che non erano importanti e da quando aveva smesso non c’erano più stati concorsi a cattedra. ... Renato arrivava alla fine dei nove mesi dell’anno scolastico come se portasse a termine una strana gravidanza, da cui nascevano lunghe estati di ozio inquieto e accidioso. Rino languiva supplenze accanto al telefono, correggeva bozze per una casa editrice e di quando in quando faceva il negro per qualche giornalista sovraffaticato. Renato avrebbe dovuto essere felice e Rino avrebbe dovuto essere infelice, invece era vero il contrario. Rino era un disoccupato ilare e francescano, mentre Renato era un impiegato statale di settimo livello insoddisfatto e tormentato.”
Alessandro Carrera, La vita meravigliosa dei laureati in lettere

A quanto pare il posto fisso è diventato noioso e monotono, almeno così afferma il Supermario nazionale. In un paese come l’Italia in cui sono anni che va in scena la retorica contro il precariato, un elogio della precarietà sembra essere, quasi, una bestemmia. È, però, quantomeno singolare che a farlo sia una persona che non ha mai provato il lavoro flessibile, precario, a progetto o a prestazione che sia. Eppure il Presidente del Consiglio sembra averci visto giusto, anche se era preferibile una riflessione, più generale, sul lavoro che cambia. Le nuove generazioni, precarie, hanno un atteggiamento pessimista davanti a questo cambiamento. Non si sforzano di dare sfogo alla propria creatività e di trovare soluzioni lavorative diverse dal passato. Il lavoro non-fisso, chiamiamolo così, è sinonimo di possibilità, di occasioni e di crescita professionale. I fantomatici giovani mano a mano che migliorano le loro competenze sono sul mercato alla ricerca di maggiori gratificazioni professionali, di remunerazioni più alte, di posizioni di potere, di ruoli a più marcata visibilità sociale. Il lavoro precario, infatti, ha aperto un’infinità di strade e di possibilità che al giovane del passato erano precluse perchè era destinato ad un unico e solo lavoro per tutta la vita e che mortificava la sua fantasia e creatività. Chiedetelo a Renato, il protagonista del divertentissimo libro di Alessandro Carrera.

sabato 21 gennaio 2012

Libertà è partecipazione

“Le nostre istituzioni non servono più a nulla: su questo si è tutti d’accordo. Tuttavia ciò non dipende da esse, bensì da noi. Da quando abbiamo perduto tutti gli istinti, da cui si sviluppano le istituzioni, andiamo perdendo le istituzioni in generale, perchè noi non serviamo più ad esse. Affinché ci siano delle istituzioni, deve esistere una specie di volontà, d’istinto, di tradizione, di autorità, di responsabilità sui secoli futuri, di solidarietà espressa da catene di generazioni, in avanti e all’indietro, in infinitum. L’intero Occidente non ha più questi istinti da cui crescono istituzioni, da cui nasce un avvenire: forse nessun’altra cosa risulta tanto a contraggenio al suo «spirito moderno». Si vive per l’oggi, si vive in gran fretta – si vive in un modo molto irresponsabile: questo appunto viene chiamato «libertà». Ciò che, delle istituzioni, fa istituzioni, viene disprezzato, odiato, rifiutato. A tal punto arriva la décadence nell’istinto dei valori proprio dei nostri politici, dei nostri partiti politici: essi istintivamente preferiscono quel che disgrega, quel che affretta la fine.” F.W.
 Nietzsche, Crepuscolo degli idoli

Tempo di primarie anche a Lecce. In vista delle imminenti elezioni amministrative il centrosinistra torna a confrontarsi per scegliere il proprio candidato sindaco. In una fase storica in cui le nostre Istituzioni vivono una crisi profonda ed, apparentemente, irreversibile – e di cui l’Italia degli ultimi vent’anni ne è una limpida dimostrazione – la partecipazione politica resta l’unica strada per ridare valore e significato alle nostre malmesse Istituzioni, perché, come dice Nietzsche, “non dipende da esse, bensì da noi”.

Le parole del filosofo tedesco sono, proprio oggi, di straordinaria attualità. Descrivono perfettamente la crisi dell’Occidente nel XXI secolo e sono una bellissima critica ante litteram al mondo moderno. Mettono a nudo il nostro modo di vivere spesso irresponsabile. Ogni comunità dovrebbe avere un proprio sistema di giustizia e di partecipazione civile teso non solo al bene individuale, ma, anche e soprattutto, ad un bene legato al vivere sociale e collettivo delle persone che ne fanno parte.

La persona deve ritornare ad essere il nucleo centrale della nostra società. Le primarie sono un piccolo ma significativo strumento verso un processo di miglioramento delle Istituzioni democratiche e della società stessa. “Non dipende da esse, bensì da noi”: libertà è partecipazione!

lunedì 9 gennaio 2012

Da bacheca a bacheca... il potere dei social network


“Onnipresenza del potere: non perché avrebbe il privilegio di raggruppare tutto sotto la sua invincibile unità, ma perché si produce in ogni istante, in ogni punto, o piuttosto in ogni relazione fra un punto ed un altro. Il potere è dappertutto; non perché inglobi tutto, ma perché viene da ogni dove. E “il” potere, in quel che ha di permanente, di ripetitivo, d’inerte, di autoriproduttore, non è che l’effetto d’insieme che si delinea a partire da tutta questa mobilità, la concatenazione che si appoggia su ciascuna di esse e cerca a sua volta di fissarle [...] il potere è il nome che si dà ad una situazione strategica complessa in una società data.”
Michel Foucault, Volontà di sapere

Un tempo c’era il “porta a porta”. Non del bradipo Bruno Vespa, ma di un’antica campagna elettorale fatta di rapporti umani, di contatti diretti e di volantinaggio. Nel ventunesimo secondo esiste invece il “da bacheca a bacheca”. La battaglia politica è sui social network.
Si fa campagna “elettorale” postando link, note e fotografie sulla bacheca, ad esempio, di Facebook. É la nuova frontiera della propaganda politica e sociale nel “regno dei nativi digitali”, dove la cultura è partecipazione e si basa sulla condivisione. Il nuovo mondo non conosce gerarchie. Il potere non è calato dall’alto ma si esercita ovunque ... è ovunque.

Addio dunque alla totalizzante “cattiva maestra televisione”, che omologa, ingloba e filtra. Oggi internet ed i social network arrivano lì dove la televisione non può e non riesce. Lì dove il filtro non basta a nascondere un messaggio sbagliato, un errore, una gaffe. Il potere è tornato ad essere onnipresente, viene dal basso, a partire da innumerevoli punti, direbbe oggi il filosofo francese Foucault.

Lo ha capito bene l’assessore al Comune di Lecce Giuseppe Ripa che è inciampato in un commento omofobo, maldestro e mediocre su Facebook e che è stato prontamente utilizzato dai suoi avversari politici e, più in generale, dal mondo della rete. Evviva il mondo 2.0 ... e Foucault naturalmente!